Il tumore del pene è una patologia rara, ma con risvolti psicologici spesso poco favorevoli per il paziente. Rappresenta solamente lo 0,4-0,6% di tutte le neoplasie negli Stati Uniti ed in Europa, ma si arriva a percentuali molto più alte (20-30% di tutti i tumori diagnosticati negli uomini) in Asia, Africa e Sud America. È essenzialmente una patologia dell’anziano, con una crescita esponenziale oltre i 60 anni ed un picco intorno agli 80 anni. Nonostante sia considerata rara nei giovani, il 22% dei pazienti ha meno di 40 anni ed il 7% meno di 30.
Fattori di rischio
Tassi di incidenza più elevati rispetto alla popolazione generale sono stati riscontrati in uomini non sposati, con basso stato socio-economico, che vivono in aree rurali e con multipli partner sessuali.
Sono noti fattori di rischio la presenza di fimosi, lesioni croniche del pene che determinano uno stato infiammatorio (balanopostite fimosi correlata, lichen sclerosus anche detto balanite sclerotica obliterante), il fumo, la presenza di condilomi acuminati (infezione da HPV), la pregressa fototerapia con UVA o sporalene per patologie dermatologiche (psoriasi, ecc.).
Il valore profilattico della circoncisione, sebbene dibattuto, è maggiore se eseguita in età neonatale, mentre risulta ridotta se eseguita in età adulta.
Sintomi
Il tumore del pene si presenta solitamente come un sottile indurimento nella pelle, una piccola escrescenza, una papula, una pustola, una escrescenza verrucosa o un’area semplicemente arrossata. La sede più frequente è il glande ma la malattia può interessare anche il resto dell’asta. In rari casi, il carcinoma del pene si manifesta come una massa inguinale ulcerata o sanguinante. La diagnosi è talora tardiva poiché, per vergogna, il paziente si rivolge al medico solo quando la tumefazione è diventata maleodorante a causa di infezione e/o necrosi dei tessuti. Il dolore rimane un sintomo raro nelle fasi iniziali, ma è frequente nei pazienti con malattia metastatica che possono riferire debolezza, perdita di peso e affaticamento.
Le lesioni del pene possono essere classificate come neoplasie benigne, maligne o premaligne. Queste ultime sono lesioni istologicamente benigne, ma con potenziale di trasformazione maligna. La più comune è la balanite xerotica obliterante, una variante del lichen sclerosus atrofico che si manifesta come una macchia bianca sul prepuzio o sul glande, ove solitamente coinvolge il meato uretrale, producendo una grave cicatrizzazione, con conseguente ostruzione dell’uretra.
Il 95% dei tumori del pene sono carcinomi squamocellulari, talora associati a lesioni benigne, maligne o premaligne di altra natura. Esistono poi svariati sottotipi istologici, ciascuno caratterizzato da una differente frequenza e prognosi.
Diagnosi
Il processo diagnostico parte dall’esame obiettivo che risulta fondamentale per valutare aspetto, conformazione, dimensioni e consistenza della lesione. È d’obbligo valutare accuratamente eventuali linfoadenopatie inguinali, registrando numero, lateralità e caratteristiche (mobili / fisse). Ad oggi la tecnica di imaging di scelta per lo studio delle regioni inguinali rimane l’ecografia, tuttavia in caso di linfoadenopatie palpabili o in caso di malattie localmente avanzate è utile eseguire una TC o PET/TC addome-pelvi e TC torace per meglio stadiare la malattia (stadio di malattia). In caso di sospetta malattia metastatica ossea con sintomi rilevanti, può essere necessario eseguire una scintigrafia ossea total body. La biopsia con esame istologico della lesione completa quasi sempre il processo diagnostico, stabilendo la natura anatomopatologica della malattia. Tale procedura di solito non è necessaria se non con la stessa procedura chirurgica di asportazione dell’intera lesione.
Classificazione
La classificazione si fonda sul sistema TNM, un sistema internazionale per la classificazione delle neoplasie. Pur essendo possibile utilizzare una classificazione clinica e patologica, per brevità e semplicità riporteremo solo quella patologica, di fatto quella più utile al paziente per comprendere lo stato della sua malattia e di conseguenza l’iter terapeutico cui andrà incontro.
Terapia
Trattamento del tumore primario
L’obiettivo fondamentale è la completa rimozione del tumore primario, preservando al massimo l’organo, senza di fatto compromettere il controllo oncologico. Poiché la recidiva locale ha poca influenza sulla sopravvivenza a lungo termine, la chirurgia conservativa è considerata il trattamento di prima scelta per il carcinoma del pene localizzato, data l’indubbia superiorità in termini funzionali e cosmetici rispetto alla parziale o totale amputazione peniena.
Malattia superficiale non invasiva (Tis / Ta)
- Chemioterapia topica con imiquimod o 5-fluorouracile (5-FU): è un efficace trattamento di prima linea, eventualmente preceduta dalla circoncisione. Dati gli elevati tassi di persistenza / recidiva, il trattamento deve essere preceduto da una valutazione anatomopatologica mediante biopsia ed è necessario un follow up a lungo termine con nuove biopsie di controllo. In caso di fallimento, non andrebbe ripetuta, data la probabilità di malattia invasiva sottostante.
- Ablazione laser con neodimio: ittrio-alluminio-granato (Nd: YAG) o laser ad anidride carbonica (CO2): necessita di rebiopsie per verificare l’efficacia del trattamento.
- Resurfacing del glande: può essere parziale o totale e consiste nella completa rimozione dell’epitelio glandulare, seguita dalla ricostruzione con un innesto (solitamente cutaneo o di mucosa buccale). Può essere considerato come trattamento primario o secondario in caso di fallimento della chemioterapia topica o dell’ablazione laser.
Malattia invasiva confinata al glande (T1 / T2)
Si tratta della più frequente condizione clinica alla manifestazione. Le lesioni in stadio Ta/Tis sono molto rare, parimenti le lesioni in stadio T3, ovvero infiltranti, sono per fortuna rare. Essendo quindi le lesioni in stadio T1/T2 le più frequenti, è il trattamento di queste lesioni ad essere cruciale per migliorare sopravvivenza e qualità di vita dei pazienti. La scelta del trattamento dipende dalla dimensione del tumore, dall’istologia, dallo stadio e dal grado, nonché dalla localizzazione (in particolare rispetto al meato) e dalle preferenze del paziente. Le lesioni invasive di piccole dimensioni e localizzate possono essere trattate mediante escissione locale o glandectomia parziale o totale con contestuale circoncisione e ricostruzione, ma anche con radioterapia con fasci esterni (lesioni con diametro <4 cm), brachiterapia, terapia laser. Sommariamente, l’escissione chirurgica appare fornire un vantaggio in termini di controllo locale rispetto ad opzioni non chirurgiche come la brachiterapia.
Per la valutazione dei margini chirurgici è fondamentale avvalersi di un esame istologico estemporaneo. Non ci sono prove chiare sulla larghezza minima dei margini chirurgici negativi. Si può utilizzare un approccio differenziato in base al grado, considerando come “sicuri” 3 mm per il grado 1, 5 mm per il grado 2 e 8 mm per il grado 3. Ad ogni modo, solitamente 5 mm possono essere considerati un limite sicuro per piccole lesioni localizzate al glande, laddove si esegua invece una amputazione parziale dei corpi cavernosi è prudente avvicinarsi al cm di margine negativo.
Concludendo, sebbene un intervento chirurgico conservativo possa garantire una migliore qualità della vita, al tempo stesso espone il paziente ad un maggior rischio di recidiva locale rispetto alla chirurgia radicale, senza però comprometterne la sopravvivenza cancro specifica. Tradotto in numeri, un paziente su 6 potrebbe avere una recidiva locale che richiederà una successiva amputazione parziale senza pregiudicare la sopravvivenza cancro specifica.
Malattia che invade i corpi cavernosi (T3)
La glandectomia con corporectomia distale (o amputazione parziale) sono il trattamento standard. In tali casi, anche la radioterapia rappresenta un’opzione. Bisogna considerare la necessità di avere un margine chirurgico negativo di circa un cm ed in funzione di questo programmare la possibilità ricostruttiva. Laddove la lesioni si estenda alla base del pene bisogna considerare la possibilità di eseguire una uretrostomia perineale e discuterne caso per caso.
Malattia localmente avanzata che invade le strutture adiacenti (T4)
I trattamenti raccomandati sono la amputazione totale o subtotale con uretrostomia perineale. Questo trattamento comporta la possibilità di mantenere la minzione attraverso l’uretra che viene trasposta nel perineo. Ovviamente sarà necessario urinare seduti. Laddove l’uretra sia infiltrata nella porzione più prossima alla prostata, per fortuna rara evenienza, dovrà essere considerata una chirurgia più demolitiva con l’esecuzione di una derivazione urinaria. In questi casi localmente avanzati possono essere prese in considerazione la chemioterapia neoadiuvante, la chemioterapia adiuvante o la radioterapia palliativa. Come già detto per le lesioni in stadio T1/T2, in caso di recidiva locale, può essere eseguita una seconda procedura chirurgica. L’aspetto ricostruttivo per le lesioni in questo stadio di malattia dovrebbe essere posto in secondo piano, considerato l’elevato tasso di recidive e di progressioni di malattia.
Management dei linfonodi regionali e pelvici
Lo sviluppo di metastasi linfatiche nel carcinoma del pene segue la via del drenaggio anatomico. Pertanto, i linfonodi inguinali superficiali sono i primi ad essere coinvolti, seguiti da quelli inguinali profondi ed in ultimo dai linfonodi pelvici. L’ulteriore diffusione linfatica ai linfonodi retroperitoneali, ovvero quelli dell’addome (para-aortici, para-cavali), è classificata come malattia metastatica sistemica.
La gestione dei linfonodi regionali è decisiva per la sopravvivenza del paziente e la cura può essere raggiunta soltanto in caso di patologia linfonodale limitata ai linfonodi regionali. Alcune informazioni è utile definirle subito: l’agoaspirato dei linfonodi inguinali è una procedura inutile, sia per escludere micrometastasi ed evitare la linfadenectomia inguinale, sia in caso di evidenti linfoadenopatie inguinali. In tutte le lesioni di alto grado così come in tutte quelle di alto stadio la linfadenectomia inguinale bilaterale va eseguita contestualmente alla chirurgia primaria o, laddove l’esame istologico fornisca un inatteso alto grado della lesione, nell’immediato postoperatorio, a completamento della procedura chirurgica. La linfadenectomia inguinale ha una morbilità non trascurabile (linfedema, deiscenza della ferita, necrosi della ferita). Tuttavia, quando indicata, deve essere eseguita ed in maniera completa. La differenza tra una linfadenectomia profilattica, ovvero eseguita per linfonodi negativi rispetto ad una linfadenectomia eseguita alla recidiva è sostanziale. La sopravvivenza in caso di linfonodi positivi passa dal 90% al 40%! Ovviamente omettere la linfadenectomia non comporta la certezza che ci siano linfonodi positivi o che si sviluppino metastasi inguinali nel follow-up. Tuttavia in uno studio che ha confrontato le due opzioni (linfadenectomia inguinale vs osservazione), la sopravvivenza a 5 anni è risultata del 74% vs 63%.
Il trattamento dipende essenzialmente dallo stadio clinico dei linfonodi inguinali, con tre possibili scenari:
- linfonodi inguinali non palpabili (cN0): nessuna tecnica di imaging può rivelare o escludere in maniera affidabile la presenza di micrometastasi che statisticamente interessano il 25% dei pazienti con linfonodi inguinali non palpabili. Ci si affida, pertanto, ad altri fattori per la stratificazione del rischio, ovvero lo stadio, il grado e la presenza / assenza di invasione linfovascolare nel tumore primario. Solitamente, nei Tis, TaG1 e T1G1 si opta per una sorveglianza, mentre nei T1G2 e nei tumori di stadio superiore, essendo considerati ad alto rischio di diffusione linfatica, è indicata una linfadenectomia inguinale o la biopsia del linfonodo sentinella.
- linfonodi inguinali palpabili (cN1-2): in tali casi si opta per una linfadenectomia inguinale radicale.
- linfonodi inguinali fissi (cN3): è richiesto un trattamento multimodale mediante chemioterapia neoadiuvante seguita, nei responders, dalla linfadenectomia inguinale e probabilmente pelvica radicale.
Quanto sopra riportato fa riferimento alla stadiazione clinica dei linfonodi, ovvero a quanto stimabile prima di rimuoverli. Una volta rimossi si ha una stadiazione patologica. Sulla base di quest’ultima i pazienti con due o più metastasi linfonodali inguinali da un lato (pN2) e/o estensione di malattia linfonodale extracapsulare (pN3) devono sottoporsi a linfadenectomia pelvica ipsilaterale che può essere eseguita contestualmente alla linfadenectomia inguinale o successivamente alla stessa, come seconda procedura, evitando ritardi non necessari, data l’importante influenza sulla prognosi.
Chemioterapia
Nei pazienti con pN2-3 è indicata una chemioterapia adiuvante, con 3-4 cicli di cisplatino, taxani e 5-fluoro-uracile o ifosfamide. Inoltre, in pazienti con malattia non resecabile chirurgicamente o con recidiva linfonodale, è possibile eseguire una chemioterapia neoadiuvante (con regimi basati su cisplatino e taxani), seguita da un trattamento chirurgico radicale.
Infine, è possibile offrire una chemioterapia palliativa ai pazienti con malattia metastatica.
Radioterapia
La radioterapia non è indicata nel trattamento della malattia linfonodale da tumore del pene, se non con scopo palliativo. Ha, invece, un suo ruolo ed una dignità nel trattamento del tumore primario, come precedentemente illustrato.